Quando parliamo di Cina, spesso facciamo riferimento alle cosiddette Big Four:
Beijing e Shanghai, Guangzhou e Shenzhen.
Esse rappresentano i punti nevralgici dell’economia cinese.
Queste gigantesche metropoli tuttavia non costituiscono che uno scarso 10% della popolazione cinese, sebbene per la gran parte dell’opinione pubblica occidentale il resto di questo immenso Paese resti avvolto nella nebbia: in Cina vi sono infatti oltre 650 città (stando ai dati governativi diffusi annualmente), delle quali circa 160 superano il milione di abitanti.
Sebbene non esista una definizione ufficiale di tier (livello, fascia), solitamente tale concetto si riferisce alle caratteristiche principali della città, compresi lo sviluppo economico, il reddito pro-capite, l’avanzamento delle infrastrutture e dei trasporti e la portata storica e culturale nel sistema-Paese.
Cosi alle Big Four, dette anche top tier cities o first tier cities vanno ad aggiungersi i grandi numeri delle città dei livelli inferiori: in questa sede ci concentreremo sulle città di secondo e terzo livello (sebbene alcuni osservatori economici come il noto China Briefing abbiano negli ultimi anni cominciato a focalizzare la propria attenzione sulle città di terza e quarta fascia).
Tra le città di seconda fascia si contano in particolare le 22 capitali di provincia, mentre alla fascia inferiore appartengono le contee e le prefetture. La ripartizione tra queste due fasce è poco precisa, data la non ufficialità di tali categorie: per alcuni studiosi le città di seconda fascia arrivano ad essere circa 60.
Al di là della suddivisione tra i livelli, ciò che viene univocamente riconosciuto è che l’importanza di queste città sta crescendo esponenzialmente.
Prova ne sono le varie politiche ed interventi governativi nel solco della cosiddetta ‘Go West strategy’, volta a dare un forte impulso allo sviluppo delle regioni più interne del Paese.
Questa strategia ad ampio spettro, consolidata nel tempo da parte del governo cinese anche grazie alle indicazioni contenute nell’innovativo 12° Piano Quinquennale 2011-2015, prevede in particolare un graduale ma consistente spostamento di risorse dalle ricche provincie della costa orientale a quelle dell’interno.
In questo contesto, gli sforzi del governo cinese sono volti a creare un grande sistema di infrastrutture e di incentivi alle imprese per accelerare lo sviluppo delle città minori: non a caso, nel meeting APEC appena conclusosi, il Presidente Xi Jinping ha finalmente reso pubbliche le intenzioni del governo relativamente alla cosiddetta ‘Nuova Via della Seta’, un insieme di interventi economici e infrastrutturali per il quale sono previsti investimenti iniziali intorno ai 40 miliardi dollari.
Grazie agli incessanti sforzi del governo cinese, molte aziende nazionali ed internazionali hanno iniziato a muoversi verso i centri urbani minori.
Questo tuttavia non è solo il risultato degli incentivi governativi. In un report di Credit Suisse relativo al dodicesimo piano quinquennale, si legge che ‘con l’innalzamento dei salari nelle regioni costiere, nonché la crescente importanza del mercato interno nelle province dell’entroterra, crediamo che avranno luogo grandi movimenti da parte delle imprese al fine di delocalizzare le loro basi di produzione nelle province interne, con minori costi di produzione e un più facile accesso al mercato locale’.
Molteplici saranno i settori aziendali che trarranno beneficio da quanto descritto finora.
Non è difficile immaginare, per esempio, gli interessi dei major contractors, i grandi appaltatori di opere pubbliche, in un contesto dove le città in sviluppo manifestano una crescente necessità di infrastrutture ed interventi urbanistici.
Ed ancora, i grandi produttori di impianti industriali come Delta Electronics, multinazionale che produce sistemi industriali a risparmio energetico, hanno visto (e continueranno a vedere nei prossimi anni) un considerevole aumento della domanda da parte dei nuovi siti produttivi, in sintonia con la spinta del governo centrale circa le emissioni di gas serra.
Anche società cinesi del settore dei prodotti di consumo come Wilmar, che produce olio alimentare, e Hengan, tra i primi produttori di carta per uso quotidiano, hanno intrapreso la penetrazione del mercato interno, in anticipo rispetto alle grandi società multinazionali, che ancora si concentrano sulle città di primo livello.
Hengan ha lavorato per anni sul mercato dell’entroterra, ottenendo un forte riconoscimento da parte dei consumatori, ed un evidente vantaggio sui competitors.
Questo elenco potrebbe continuare ancora a lungo: oltre ai grandi appaltatori, ai produttori di impianti industriali e di beni di consumo, si contano le imprese operanti nel settore edile e immobiliare, le società della grande distribuzione e tutte le imprese operanti nel settore dei servizi.
Andy Rothman, China Macro Strategist presso CLSA di Hong Kong, sostiene che la ricchezza che sta venendo generata nella Cina centrale ed occidentale comporterà necessariamente un consistente aumento del potere d’acquisto e delle necessità dei consumatori del mercato interno.
Rothman aggiunge inoltre che la tendenza a focalizzarsi su Shanghai e Beijing fornisce una visione ingannevole di quanto sta succedendo in Cina. Basti pensare che nel mercato immobiliare le ‘Big Four’ hanno rappresentato il 5% del volume d’affari nazionale dello scorso anno.
Il tasso di crescita della Cina nel 2013 è stato del 7,7%, il punto più basso dal 1999. Tuttavia, le città di seconda e terza fascia hanno continuato a crescere con un tasso del 10%, e si ritiene che il trend non sia destinato a mutare per gli anni a venire.
In conclusione, ciò che deriva da queste breve riflessione è che le società straniere che riusciranno ad interpretare correttamente l’opportunità costituita dallo sviluppo delle regioni interne e delle ‘second and third tier cities’, potranno avere accesso ad un mercato in fortissima crescita e di dimensioni potenzialmente enormi, in due parole:
Go West!
Ancora nessun commento