Diario di Viaggio in Cina: Leopoldo racconta il suo percorso culturale e professionale tra Shanghai e Hong Kong

Shanghai. Solo a pronunciarne il nome, ti rendi conto della distanza che intercorre con l’Italia.

Già. Ma cos’è veramente la distanza? La distanza in termini di chilometri? O la distanza in termini di fuso orario? O ancora la distanza vissuta come il distacco da coloro che hanno rappresentato il monolite su cui hai costruito ciò che sei diventato?

Forse una vera risposta non c’è, forse la risposta è il percorso, la strada.

Sono arrivato a Shanghai il 13 Ottobre, per affrontare un Internship Combined Program, tra Shanghai e Hong Kong. Ho vissuto i primi due giorni nell’attesa di un evento che aspettavo da almeno un paio di mesi: la finale del Masters di tennis.

Oltre a essere per me una smisurata passione, rappresenta, allo stesso tempo, il simbolo di un legame molto forte, in quanto il biglietto mi è stato regalato dai miei amici più stretti, per la laurea conseguita in luglio. Su questo simbolo si basa ciò che sto per raccontarvi.

Sono arrivato a Shanghai con la  consapevolezza di iniziare un percorso individuale nuovo, che mi avrebbe portato a esplorare una parte di me del tutto inedita.

La mattina della finale, domenica 16 ottobre, mi sono recato al palazzetto con molto anticipo, è pur sempre un’occasione che capita una volta nella vita e mai avrei voluto perdermi qualcosa.

Il percorso per lo stadio è piuttosto lungo e, oltre alla metropolitana, mi vedo costretto a prendere un autobus.

Comincio a leggere un libro sul tennis, su Roger Federer per l’esattezza. Dopo qualche pagina vengo interrotto da un ragazzo cinese che, in un inglese stentato, mi confida di essere anche lui un grande fan del tennista elvetico. Inizialmente, non do molto peso alla questione e cerco di liquidare il tutto con una risposta piuttosto vaga. Dopo qualche secondo mi accorgo dell’opportunità che mi si è appena presentata: un ragazzo asiatico, più o meno della mia età, sta provando a impostare una conversazione, in una lingua che probabilmente utilizza malvolentieri, circa una passione che condividiamo. Mi rendo conto che non posso lasciarmi scivolare dalle mani una simile opportunità di condivisione, quasi di comunione.

Arrivati al campo, dopo un’intensa chiacchierata, lo invito a mangiare qualcosa insieme. Purtroppo non può assecondare la mia proposta, in quanto deve aspettare un amico che è in ritardo. Nessun problema – penso – ci rivediamo dentro per dividere una birra più tardi. Come da usanza qui a Shanghai ci scambiamo il contatto WeChat e prendiamo, per qualche ora, strade separate.

Al termine dell’evento, dopo aver condiviso la suddetta birra e aver conosciuto l’amico ritardatario, ci diamo appuntamento per un rapido saluto, o almeno così avrebbe dovuto essere. Proprio mentre li aspetto nei pressi dell’uscita, infatti, mi balena nella mente un’idea: uscire tutti insieme a cena e cavalcare questa possibilità di entrare veramente in contatto con questo nuovo emisfero culturale con cui mi sto interfacciando. Loro accettano, quasi estasiati.

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Leopoldo, con i suoi nuovi amici Joy e Jerry, alla finale del Masters di tennis a Shanghai

Ovviamente mi affido totalmente a loro per la scelta del ristorante e del cibo che andremo a consumare, non potrebbe essere altrimenti. Decidono di portarmi in un ristorante da loro stessi definito “Hong Kong Style”. Lo considero un segnale inconfutabile, dal momento che non avevo assolutamente accennato al fatto che il prosieguo del mio percorso mi porterà proprio lì, a Hong Kong, per la seconda parte dell’Internship Combined Program.

La cena è qualcosa di squisito, e per le pietanze e per la compagnia. Lo scambio culturale è forte. Arriviamo a discutere delle tradizioni famigliari e del rapporto che ognuno di noi ha con la propria terra, passando attraverso discorsi di sport, filosofia, religione, passioni personali e percorsi scolastici. Sento di volergli chiedere quante amicizie con occidentali, perché ormai di questo si tratta, abbiano instaurato e mantenuto durante la loro vita. Mi rispondono che sono il primo con cui riescono a condividere più di una rapida chiacchierata. Definiscono questo tipo di incontro “Yuan Fen”, che più o meno sta a indicare qualche cosa che era scritta nel destino o, come loro sostengono, nelle stelle. Mi sento onorato di tutta questa considerazione, quasi ai limiti dell’imbarazzo.

Dopo soli due giorni, Shanghai sembra già più vicina e non posso che pensare al biglietto come allegoria di amicizia e legame, come simbolo di “Yuan Fen”.

 

Continua a leggere il Diario di Viaggio di Leopoldo e prosegui con il capitolo successivo.


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