Si è tenuta dal 30 novembre all’11 dicembre la ventunesima edizione della Conferenza sul Clima delle Nazioni Unite Cop21.
Quest’anno ambientato a Parigi, il summit ha visto riuniti i capi di governo di oltre 150 stati, che hanno animato un dibattito con lo scopo di giungere a un accordo per la tutela delle condizioni climatiche del globo.
Il consistente cambiamento climatico degli ultimi decenni è stato identificato come minaccia incombente, che potrebbe influire negativamente non solo sull’ambiente, ma anche sull’economia e addirittura sulla sicurezza delle nazioni.
Dunque, l’obiettivo primario per “salvare” il pianeta sarebbe stato individuato nella limitazione del riscaldamento globale a 2 gradi in più rispetto ai livelli dell’era pre-industriale.
Al Cop21 la Cina è stata additata come un “osservato speciale”, in quanto considerata tra i paesi maggiormente responsabili per l’emissione di gas-serra, a causa dell’utilizzo intensivo di carbone che ancora oggi è in atto.
Il carbone, economico e disponibile in abbondanza, costituisce per i paesi in via di sviluppo una risorsa importante per condurre quella corsa verso il progresso che i paesi economicamente evoluti hanno già intrapreso, potendosi permettere di investire nelle energie rinnovabili di nuova generazione.
Per questo motivo, Pechino si è inizialmente fatta portavoce di una coalizione di paesi emergenti che non vorrebbero rinunciare al carbone, a meno che le nazioni più ricche non le aiutino nella conversione a sistemi di energia pulita.
Si potrebbe dire, in effetti, che la Cina sia partita in svantaggio rispetto ad altri paesi più avanzati e che ora veda frenate le proprie aspirazioni di progresso industriale a causa di politiche – peraltro giustissime – di tutela, volte a contrastare una situazione per la quale tutte le nazioni dovrebbero ritenersi corresponsabili (a maggior ragione quelle che già hanno raggiunto un certo grado di sviluppo).
Su questo concetto ha insistito anche il presidente cinese Xi Jinping, il quale ha ricordato l’accordo già deliberato nel 2010, il “climate finance”, che prevedeva lo stanziamento di 100 miliardi di dollari annuali per dieci anni fino al 2020, con cui i paesi sviluppati sarebbero tenuti ad supportare quelli in via di sviluppo nel contenimento del riscaldamento globale.
Bisogna dire che la Cina si sta già impegnando per ridurre quanto meno l’aumento periodico nell’utilizzo di carbone, registrando di fatto negli ultimi anni una percentuale di incremento sempre minore, pressoché nulla nel 2014.
Inoltre, proprio l’anno scorso, la Cina ha stilato l’Energy Development Strategy Action Plan (2014-2020), con cui si è assunta precisi impegni in materia di sostenibilità, tra cui la riduzione nelle combustioni di carbone, un aumento nell’utilizzo di carburanti non fossili e di gas naturali e lo sviluppo di risorse eoliche, solari e idriche.
Infine, proprio in sede di discussione al Cop21, il governo cinese ha dichiarato che, entro il 2020, si impegnerà a ridurre le emissioni inquinanti delle centrali a carbone del 60% e a chiudere definitivamente le centrali che non siano conformi con le normative sul risparmio energetico.
Piccoli passi verso un progresso sostenibile. Si auspica che gli sforzi delle nazioni emergenti siano accompagnati da una effettiva condivisione delle responsabilità da parte dei paesi ricchi, per condurre un comune percorso di consapevolezza e coscienza verso le necessità dell’umanità dell’ambiente.
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